Sappiamo bene che l’emofilia è un malattia ematologica congenita, legata al sesso maschile, caratterizzata dalla carenza di un fattore della coagulazione, la cui assenza ritarda i meccanismi emostatici (in pratica, in caso di emorragia, si smette di sanguinare più tardi rispetto ai soggetti normali).
Tuttavia, proprio il meccanismo della patologia (carenza di un singolo fattore), la possibilità di accesso a cure sempre più adeguate e (più o meno) facilmente somministrabili, rendono l’emofilia, a mio parere, non più una malattia ma “un fattore di rischio”.
Un fattore di rischio emorragico controllabile con adeguata terapia. Tale concetto non è peregrino; infatti, uno dei più importanti problemi con le famiglie di emofilici e che spesso, essi, sentendosi “malati” hanno uno stile di vita che può in parte emarginarli. E’ importante, a mio avviso, che iniziamo a spiegare alle famiglie che l’emofilia non deve essere gestita come una “malattia” (con tutte le limitazioni che tale concetto comporterebbe, specie in quanto patologia genetica) ma, piuttosto, come un fattore di rischio emorragico a cui si può fare fronte in maniera sempre più adeguata grazie alle nuove terapie.
Relatore: Prof. Sergio Siragusa – Direttore dell’U.O. di Ematologia con trapianto dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico di Palermo e Vice Presidente della SIE (Società Italiana di Ematologia)