COVID-19: Coagulopatia, rischio trombotico, e rationale per l’anticoagulazione

Come nella  SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome) e nella MERS (Middle East Respiratory Syndrome), c’è un legame tra l’infiammazione  e i gravi danni agli organi nei pazienti COVID-19. La patologia primaria  è rappresentata dall’ARDS (Acute Respiratory Distress Syndrome), che è caratterizzata da diffuso danno alveolare comprese le membrane ialine. L’effetto citopatico sugli pneumociti implica un danno virale diretto. C’è ora la prova che alcuni pazienti possono rispondere al COVID-19 con una vera e propria “tempesta di citochine” ed è stato dimostrato  che le citochine pro infiammatorie IL-6 e IL-17A, nonché il TNF sono elevati nella maggior parte dei pazienti con esiti gravi. L’ipercoagulabilità è un importante segno di infiammazione, infatti le  Citochine pro-infiammatorie sono criticamente coinvolte nella formazione abnorme del coagulo, nella iperattivazione piastrinica e anche nello svolgimento di un ruolo importante nella ridotta funzionalità  degli anticoagulanti naturali. Altri fattori correlati al paziente, che possono portare ad un rischio significativamente più elevato di complicazioni trombotiche nei pazienti con COVID-19  sono: l’età avanzata, il sesso maschile, e la presenza di comorbidità, soprattutto in ipertensione in cui  è stato dimostrato un (Hazard Ratio) HR di 1,70-3,05 per il decesso.

La coagulopatia è stata segnalata in oltre il 50% dei pazienti con gravi manifestazioni di COVID-19. L’aumento del  d-dimero è il cambiamento più significativo nei parametri di coagulazione in pazienti COVID-19 gravi, e valori progressivamente crescenti possono essere utilizzati come parametro prognostico sfavorevole.  Dati limitati suggeriscono un’alta incidenza di trombosi venosa profonda e embolia polmonare in circa il 40% dei pazienti, nonostante sia stata impiegata nella maggior parte dei casi l’uso di una dose standard di eparina a basso peso molecolare (LMWH). E’ stata inoltre segnalata una trombosi microvascolare polmonare che può svolgere un ruolo nell’insufficienza respiratoria progressiva. La profilassi LMWH è stata raccomandata dalla International Society on Thrombosis and Haemostasis (ISTH) e dalla American Society of Hematology (ASH), ma il dosaggio più efficace è incerto. Si possono prendere in considerazione dosi più elevate adattate al rischio individuale di trombosi e al valore di d-dimero, anche perché gli eventi emorragici sono rari in COVID-19. Oltre all’effetto anticoagulante dell’LMWH, le  proprietà non strettamente anticoagulanti, come la riduzione nel rilascio di interleuchina 6, hanno dimostrato di migliorare il quadro complessivo della coagulopatia nei pazienti con COVID-19.


La principale complicanza dell’infezione da COVID-19 è rappresentata dalla ipercoagulabilità causata dalle citochine pro infiammatorie IL-6 e IL-17A , nonché dal TNF. Questa complicanza, associata ad altri fattori come il sesso maschile, le comorbidità e l’età, è alla base dell’evoluzione prognostica della patologia. L’aumento del d-dimero  rappresenta un elemento diagnostico importante. L’eparina a basso peso molecolare (LMWH) è certamente di grande utilità ma resta ancora da definire il dosaggio ottimale. Dosi più elevate potrebbero essere prese in considerazione per lo scarso rischio emorragico dei pazienti.


Clinical and Applied Thrombosis/Hemostasis  Volume 26: 1-7

Titolo: COVID-19: Coagulopathy, Risk of Thrombosis, and the Rationale for Anticoagulation

Autore/i: Wolfgang Miesbach, Michael Makris