A questa importantissima domanda prova a rispondere un editoriale pubblicato nel dicembre scorso dal New England Journal of Medicine, a firma del noto immunologo americano Anthony Fauci e della collega Hilary Marston, che commenta la pubblicazione sulla rivista dello studio IPERGAY, di cui potete leggere anche su queste pagine.
Nella lotta all’HIV una svolta epocale si colloca nel luglio 1996, quando in occasione della XI Conferenza Internazionale sull’AIDS furono resi noti i risultati dell’efficacia della terapia antiretrovirale combinata (ART), che si dimostrava una potente arma in grado di arrestare l’implacabile progressione dell’infezione.
Da quello storico Convegno l’ART ha mantenuto le promesse di un successo duraturo, in grado di salvare, si stima, 7.8 milioni di vite nel mondo tra il 2000 e il 2014. Il momento migliore per iniziare tale terapia, in termini di rapporto rischi-benefici, è stato ampiamente dibattuto ed in genere identificato in fasi non precoci della malattia, quando cioè il numero di linfociti CD4 si è ridotto al di sotto di una certa soglia. Negli ultimi dieci anni, però, si sono raccolti dati che possono suggerire un cambiamento di rotta, fino al concetto di utilizzare la ART anche in soggetti HIV-negativi per la prevenzione pre-esposizione al contagio (PREP). In questa direzione vanno i risultati dello studio IPERGAY, che dimostrano l’efficacia di una assunzione ‘a domanda’ in soggetti ad alto rischio di contagio per trasmissione sessuale (uomini esposti a rapporti omosessuali non protetti), con una riduzione del rischio infezione da HIV di circa 86% rispetto a quelli trattati con placebo. La PREP, dunque, può essere implementata come strategia sicura ed efficace nel bloccare la trasmissione dell’HIV.
Gli studi sulla ART stanno fornendo la risposta anche ad un altro quesito fondamentale, cioè se la soppressione virale che tale terapia assicura nei pazienti HIV positivi sia in grado di prevenire la trasmissione dell’infezione, estendendo così i benefici del trattamento al di là della persona infetta anche ai suoi partner sessuali (e, nel caso di tossicodipendenti, potenzialmente a coloro con cui hanno condiviso aghi). Gli studi osservazionali di coorte in coppie sierodiscordanti sono fortemente suggestivi di un rischio ridotto di trasmissione in presenza di bassa carica virale e, allo stesso tempo, dimostrano che la maggior parte delle trasmissioni è riconducibile a soggetti con viremia non controllata dal trattamento.
La questione è stata definitivamente risolta dai risultati dello studio HIV Prevention Trial Network (HPTN) 052, pubblicato nel 2011. In questo trial prospettico controllato sono state arruolate 1763 coppie sierodiscordanti prevalentemente eterosessuali in 9 paesi, assegnando la metà dei soggetti infetti da HIV (tutti con conta CD4 tra 350 e 550/mmc) ad ART immediata e l’altra metà alla terapia differita alla riduzione della conta dei CD4 al di sotto di 250/mmc o allo sviluppo di una patologia AIDS-correlata. La valutazione dei partner non infetti, testati trimestralmente per sieroconversione, ha dimostrato una riduzione del 96% della trasmissione di HIV nei soggetti che hanno intrapreso la ART immediata rispetto a quelli in ART differita. Questa strategia, insieme alla PREP, può contribuire, pertanto, a ridurre in maniera sostanziale l’incidenza dell’infezione da HIV.
Se i vantaggi per la salute pubblica risultano dunque inconfutabili, resta da dare una risposta definitiva al quesito degli effettivi benefici dell’inizio precoce della ART in un soggetto con un numero di CD4 normale o quasi. Da qualche tempo le linee guida, in particolare nei paesi con maggiori risorse economiche, cominciano ad indicare di valutare la scelta del trattamento per soglie più elevate di CD4, ma le evidenze da studi randomizzati erano ancora limitate. Nel luglio 2015, la comunità scientifica internazionale, riunita ancora una volta a Vancouver, ha avuto una risposta dalla presentazione dei dati dello studio START (Strategic Timing of Antiretroviral Treatment). Questo trial randomizzato, condotto in 35 paesi su oltre 4600 pazienti con conte CD4 <500/mmc, ha dimostrato una riduzione del 57% della mortalità e dello sviluppo di patologie gravi (70% per quelle correlate ad AIDS) nei soggetti che hanno iniziato immediatamente la ART rispetto a coloro che l’hanno differita alla riduzione delle conte <350/mmc, senza differenze nella tossicità della terapia.
Abbiamo quindi oggi a disposizione una serie di chiare evidenze per il trattamento efficace e la prevenzione dell’infezione da HIV, tali da attivare una mobilitazione non solo scientifica ma anche politica ed economica per perseguire un obiettivo che non risulta più impossibile, porre fine alla pandemia da HIV.