La scoperta del virus dell’epatite C (HCV) risale al 1989. La quasi totalità dei pazienti con malattie emorragiche congenite trattata con plasma–derivati ‘non virus–inattivati’ prima della metà degli anni ottanta ha contratto l’infezione da HCV. Sebbene i dati derivati dal registro della Fondazione Coreana di Emofilia mostrino una graduale riduzione della siero–prevalenza dell’HCV dal 37.3% nel 1999 al 26.7% nel 2015, i pazienti emofilici continuano a manifestare i più alti indici di prevalenza tra la popolazione generale. La cronicizzazione dell’infezione si verifica nel 75–85% dei pazienti infetti, con progressione a cirrosi epatica ed epatocarcinoma nel 20% circa dei casi entro i 30 anni; negli ultimi anni, poi, con il controllo dell’infezione da HIV grazie alla terapia antiretrovirale diretta, la patologia epatica HCV–correlata è diventata la principale causa di morte tra i pazienti emofilici. Dal 2012 l’interferone pegilato in associazione alla ribavirina ha rappresentato il trattamento ‘standard’ per i pazienti con infezione cronica da HCV, consentendo di ottenere tassi di risposta virologica sostenuta solo nel 45% dei pazienti con genotipo 1 (il più diffuso) e nell’80% circa dei pazienti con altri genotipi, decisamente più rari, con alcune segnalazioni di maggiore efficacia nei pazienti con emofilia, almeno in popolazioni asiatiche (82% nel genotipo 1 e 92% nei genotipi 2 e 3), e modesta compliance alla terapia per i frequenti effetti collaterali.
I pazienti con malattie emorragiche congenite sono da sempre tradizionalmente esclusi dagli studi clinici di terapia antivirale a causa della peculiarità degli eventi avversi (impatto sul rischio emorragico poco noto) e dell’impossibilità di adeguata stadiazione della patologia epatica per le potenziali complicanze emorragiche correlabili alla biopsia epatica. Quindi, ancora pochi sono i dati finora disponibili sulle nuove terapie con inibitori antivirali diretti, senza IFN, in questa coorte di pazienti.
Alle segnalazioni sull’argomento già riportate negli articoli del 27 ottobre, 15 novembre ed 11 dicembre us, si aggiungono quelle pubblicate qualche mese fa su ‘Gut and Liver’ da Lee e coll., che hanno valutato efficacia e sicurezza di differenti regimi antivirali diretti di combinazione in una popolazione coreana di 30 pazienti emofilici, tutti maschi, con età media di 46 anni. Tra i 30 pazienti con infezione da HCV si segnalano: 26 con genotipo 1 (21 con sierotipo 1b e 5 con sierotipo 1a) e 4 con genotipo 2a/2b; 14 già trattati [7 relapse (R), 3 sospensioni pre–termine per intolleranza e 4 senza risposta virologica (NR)]; 4 con cirrosi epatica compensata (1 naïve, 1 R e 2 NR; 3 con genotipo 1b ed 1 con genotipo 1a); varianti associate a resistenza Y93H (RAVs) documentate in 3 pazienti con genotipo 1b, di cui 1 naïve e 2 R (1 con cirrosi epatica). Schematicamente, ai 5 pazienti con genotipo 1a (2 naïve) ed ai 3 pazienti con genotipo 1b RAV positivi (1 naïve) fu somministrata una combinazione a dose fissa di ledispasvir 90 mg, un inibitore della proteina non–strutturale (NS) 5A dell’HCV con funzione di modulazione della replicazione ed assemblaggio dell’RNA virale, e sofosbuvir 400 mg, un analogo nucleotidico inibitore della RNA polimerasi RNA-dipendente NS5B dell’HCV, in singola compressa 1 volta al giorno per 12 settimane; ai rimanenti 18 pazienti con genotipo 1b RAV negativi (11 naïve e 7 con precedente trattamento antivirale) fu somministrata una combinazione di daclatasvir 60 mg (DCV), analogo funzionale del ledipasvir, ed asunaprevir 100 mg (ASV), un inibitore della serin–proteasi NS3/NS4 dell’HCV responsabile della proteolisi di alcune poliproteine virali e della produzione di nuovi virioni, in compresse orali (DCV, 1 volta al giorno, e ASV, 2 volte al giorno) per 24 settimane; i 4 pazienti con genotipo 2a/2b (2 con precedente trattamento antivirale sospeso pre-termine per intolleranza; nessuno con cirrosi epatica strumentale) furono trattati con sofosbuvir (400 mg una volta al giorno) e ribavirina (divisa in due dosi giornaliere; 1000 mg per peso < 75 Kg o 1200 mg per peso ≥ 75 Kg) per 12 settimane. Tra gli 11 pazienti con genotipo 1b, naïve e RAV negativi, trattati con DCV + ASV per 24 settimane, tutti ottennero una rapida risposta virologica (RVR, rapid virological response) a 4 settimane ‘on–therapy’, ma in 1 paziente fu osservata ripresa di replica virale, ‘breakthrough’, alla 12° settimana di terapia senza sviluppo di RAV; analogamente, nel gruppo dei 7 pazienti con genotipo 1b, già trattati e RAV negativi, in terapia con DCV + ASV per 24 settimane, tutti raggiunsero la RVR, ma in 1 caso fu registrato ‘breakthrough’ alla 12 settimana associato allo sviluppo di RAV (L31M, Y93H); nessun paziente manifestò R dopo la risposta virologica a fine trattamento (ETR, end therapy response). Negli altri gruppi di terapia, tutti i pazienti, compresi i 4 con cirrosi epatica, raggiunsero una risposta sostenuta a 12 settimane ‘off–therapy’ (SVR, sustained virologicalresponse).
Non furono osservate sospensioni del trattamento o riduzioni del dosaggio per eventi avversi. I più frequenti eventi avversi non-emorragici furono astenia (33 – 50%), cefalea (17 – 50%), nausea, vertigini e/o insonnia (11 – 50%), prurito (3 – 33%; nessun rash cutaneo), ansia (3 – 25%) e diarrea (7 – 11%); la maggior parte degli eventi avversi fu di lieve entità; in pochi pazienti si registrarono lievi anomalie ematologiche. Gli eventi emorragici, quali emartri o sanguinamenti gastro–intestinali occulti, non furono considerati correlati al trattamento antivirale; nessuno manifestò sanguinamenti maggiori. In conclusione, pur non essendo stati inclusi nello studio pazienti non coreani, con cirrosi di grado B o C di Child–Pugh, co-infezione da HBV o storia di epatocarcinoma, le diverse combinazioni di antivirali diretti, quali ledipasvir–sofosbuvir per il genotipo 1a ed 1b e DCV + ASV per il genotipo 1b (il primo anche con RAV basale ed entrambi anche in pazienti con cirrosi epatica compensata o precedente esposizione a terapia antivirale), e sofosbuvir + ribavirina per i pazienti con genotipo 2a/2b, anche già trattati, furono altamente efficaci e ben tollerate nel setting dell’emofilia, rappresentando significativa ed ulteriore evidenza per incoraggiare i futuri trattamenti.
Gut Liver. 2017 Sep 15;11(5):721-727. doi: 10.5009/gnl17209.
Direct acting antiviral agents in Korean patients with chronic hepatitis C and hemophilia who are treatment-naïve or treatment-experienced.
Lee HW, Yoo KY, Won JW, Kim HJ.