Circa 240 milioni di persone risultano nel mondo cronicamente infette dal virus dell’epatite B (HBV), nonostante la disponibilità di una vaccinazione sicura ed efficace, in Italia obbligatoria dal 1991 per i neonati ed i bambini al di sotto dei 12 anni. Attualmente, l’obiettivo terapeutico nel trattamento dell’epatopatia cronica HBV-correlata rimane realisticamente confinato alla finalità soppressiva, vale a dire alla possibilità di inibire a lungo termine la replica virale, consentendo di arrestare la progressione di malattia verso stadi più avanzati (la cirrosi epatica) e di ridurre a distanza le complicanze (scompenso funzionale ed epatocarcinoma), senza tuttavia ottenere l’eradicazione del virus, che per sua natura (parziale doppio filamento di DNA) rimane covalentemente integrato (covalently circular closed DNA, cccDNA) nell’epatocita dell’ospite. Tale integrazione genomica giustifica la modalità di presentazione occulta che ancora rappresenta un limite per la sicurezza in ambito trasfusionale. Una recente review pubblicata da Viruses offre una chiara panoramica sui trattamenti antivirali tradizionalmente praticati, attualmente consigliati, e su quelli in via di sviluppo.
Le terapie disponibili comprendono agenti immunomodulanti, principalmente l’Interferone (soprattutto nella sua più recente formulazione pegilata che consente un lento rilascio e la monosomministrazione settimanale), che combinando l’effetto antivirale diretto con la capacità di regolazione della risposta immune, consente di modificare il rapporto tra virus ed ospite in favore dell’ospite. La terapia è però condizionata da effetti collaterali non trascurabili (sindrome simil-influenzale e citotossicità soprattutto nei confronti dei globuli bianchi e delle piastrine) e dalla scarsa efficacia in caso di lieve attività necrotico-infiammatoria. Nel tempo si sono perciò affermati gli inibitori diretti della replica virale, suddivisi in analoghi (NUCs) nucleosidici [Lamivudina, Telbivudina, Entecavir (3° generazione)] e nucleotidici [Adefovir, Tenofovir (3° generazione)], a più elevata efficacia ed oggi impiegati, quelli di 3° generazione, in monoterapia di prima linea per l’alta barriera genetica (praticamente nulla è l’emergenza di farmaco-resistenza nel lungo periodo). Vi è, comumque, necessità di monitoraggio periodico della fosforemia e dei parametri di funzione renale (rischio di tubulopatia). E’ possibile, inoltre, il trattamento in corso di gravidanza per l’assenza di tossicità fetale nell’animale, soprattutto per Telbivudina e Tenofovir. Nei soggetti HBeAg positivi, l’obiettivo è la sieroconversione ad anti-HBe, mentre nei pazienti anti-HBe positivi, l’efficace e persistente soppressione della replica virale, al fine di normalizzare le transaminasi e ridurre l’infiammazione, ovvero di portare il paziente nella condizione tipica del carrier inattivo (viremia HBV-DNA <2000 UI/mL). Sia la strategia a breve termine con Peg-IFN che quella soppressiva a lungo termine con i NUCs devono avere come end-point la soppressione virologica sostenuta.
La ricerca attuale sta canalizzando i suoi sforzi per l’eradicazione dell’infezione in diverse modalità, mirando, ad esempio, ad una degradazione del cccDNA recettore-mediata. Attraverso specifici anticorpi e senza significativa epatotossicità, sarebbe, infatti, possibile attivare il recettore beta della linfotossina (LTβR), che è in grado di stimolare l’espressione di deaminasi nucleari (APOBEC3 o A3) capaci selettivamente di degradare il cccDNA dell’HBV senza danneggiare il DNA dell’ospite. Altri bersagli terapeutici riguarderebbero geni regolatori dell’antigene di superficie (HBsAg) o proteine virali che intervengono nelle fasi iniziali dell’infezione consentendo l’ingresso del virus all’interno dell’epatocita o fattori cellulari coinvolti nel ciclo vitale. In quest’ultimo caso, un ruolo importante è riconosciuto ai recettori ‘Toll-like’ (TLR), che mediano la risposta immune innata verso l’infezione, attivando la produzione ed il rilascio di molecole antivirali, come gli Interferoni, citokine pro-infiammatorie e chemokine. Una promettente prospettiva terapeutica deriverebbe dalla combinazione del trattamento antivirale con agonisti dei TLR, in modo da elicitare un’efficace risposta immune ed inibire profondamente il ciclo virale fino all’eradicazione.
L’infezione cronica da HBV è, dunque, un processo dinamico di interazione tra il virus, gli epatociti ed il sistema immune, in cui il virus non esercita un effetto citopatico diretto. L’attuale terapia prevede agenti immunomodulanti ed antivirali diretti, in grado di sopprimere efficacemente ed a lungo termine la replica virale e migliorare l’outcome a distanza, ma raramente capaci di eradicare l’infezione. Numerosi nuovi farmaci sono in corso di valutazione, ma sono necessari ulteriori studi prima del loro utilizzo clinico.
Viruses 2015;7:4960-4977
Anti-HBV drugs: progress, unmet needs, and new hope.
Kang L, Pan J, Wu J, Hu J, Sun Q, Tang J